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Miaeconomia 20 luglio 2001
 

Risparmiatori: fate da voi!
 

Chi si trovasse a frequentare gli scaffali delle librerie dedicati alle pubblicazioni di carattere economico in questi giorni avrà una piacevole sorpresa.
Si chiama ‘Il risparmio Tradito’ (edizioni Libreria Cortina Torino, lire 24 mila) e se il titolo non vi è abbastanza chiaro il sottotitolo fuga ogni dubbio “Come difendersi da bancari, assicuratori...e giornalisti”.
L’autore è un matematico torinese di nome Beppe Scienza (nomen omen, si direbbe), docente all’ateneo sabaudo con alle spalle una serie pubblicazioni e articoli a carattere finanziario nelle principali testate italiane.
Leggere il libro di Scienza è (ci si perdoni il paradosso) un salutare pugno nello stomaco. Numeri alla mano, l’autore ci guida alla scoperta dei tanti vizi e delle poche virtù di chi gestisce i nostri soldi.
Sotto la scure di Scienza finiscono le banche , le assicurazioni, un certo giornalismo compiacente e, ovviamente, i fondi comuni. E’ proprio su quest’ultimo aspetto che abbiamo voluto approfondire il discorso con l’autore.

Professor Scienza, lei critica i fondi comuni italiani in modo radicale. Secondo lei è questi strumenti servono a qualcosa o no?
Guardiamo i numeri.
Nel mio libro dimostro che la stragrande maggioranza dei fondi comuni, di qualunque categoria fossero, ha fatto peggio degli indici di mercato, anche sul lungo periodo. Se il risparmiatore investisse da solo in azioni e obbligazioni ci guadagnerebbe di più, e la presunta bacchetta magica dei gestori è una leggenda.
Io credo (insieme a molti altri) che gli unici fondi comuni che hanno senso siano quelli indicizzati: quelli che costano pochissimo e che si limitano a replicare gli indici di mercato. Ma in Italia praticamente non esistono ancora.

Si metta nei panni di un risparmiatore che legge il suo libro e si convince ad abbandonare il risparmio gestito e a fare da sé. Cosa dovrebbe fare materialmente? E quanto è difficile?
Fare da sé, come spiego nel mio libro, non è molto difficile.
Chi vuole investire sul mercato obbligazionario compri titoli di Stato invece di pagare un fondo che si limita a fare la stessa cosa. Io consiglio di dare un’occhiata anche agli altri paesi dell’Area Euro: in Francia ad esempio ci sono dei titoli di Stato assai interessanti legati all’inflazione.
Come dimostrano i numeri, i ‘vecchi’ titoli di Stato battono i fondi obbligazionari nella stragrande maggioranza dei casi.

Finchè sono Bot e Btp il discorso non fa una grinza. Ma come fa a fare da sé chi vuole puntare sul mercato azionario?
Il modo c’è, e non è troppo complicato.
Chi vuole investire sul mercato azionario italiano senza perdere la testa a comprare e vendere titoli di questa o quella società dispone di un mezzo piuttosto semplice.
E’ il miniFib, la versione ridotta (cioè pari a un quinto del contratto base) del future sull’indice Mib30 della Borsa di Milano. Rimando al mio libro per i dettagli, ma il succo è semplice: il risparmiatore che voglia ottenere un rendimento allineato a quello della borsa di Milano ha a disposizione un mezzo relativamente semplice e accessibile: la somma che in pratica si mette in azioni è di circa 70 milioni (o suoi multipli).
Bisogna solo imparare come funziona un future e usarlo con un’ottica di lungo periodo (cioè rinnovandolo regolarmente ogni tre mesi). Bisogna sfatare la leggenda che il future sia solo uno strumento speculativo.
La stessa cosa si può poi fare sul mercato europeo.
Con la borsa americana è ancora più semplice, perché esistono delle vere e proprie azioni-indice.
 

Lei investe i suoi soldi in questo modo?
Sì. E i risultati che ottengo sono superiori a quelli della maggioranza dei fondi comuni azionari. Di fondi azionari Italia che battano il Mib30, ad esempio, non ce ne sono molti (a patto, beninteso, di tener conto dei dividendi e di non fare confronti fasulli come troppo spesso leggiamo sui giornali).
Vorrei dire con chiarezza che non bisogna essere un matematico per gestire in questo modo i propri investimenti. Basta entrare nel meccanismo. Io sostengo anzi che i fondi comuni sono consigliabili solo a chi ha una notevole competenza e può quindi controllarne in modo critico l’andamento.
 

Un altro bersaglio dei suoi strali sono le polizze previdenziali.
Qui basta fare i conti: le polizze previdenziali di regola non convengono affatto. 
Ma il discorso sarebbe troppo lungo. 
Voglio solo far notare un fatto: sulla stampa economica troviamo dozzine di articoli che magnificano le virtù della previdenza integrativa (virtù tutte da dimostrare). Ma in questo coro pressoché unanime di lodi è quasi impossibile trovare voci che dicano le semplici cose di buonsenso, ad esempio che prima di investire in una pensione integrativa sarebbe opportuno comprarsi la casa in cui vive risparmiando sull’affitto nei decenni successivi!
Caso strano, gli unici investimenti di cui si tessono le lodi sono quelli gestiti da banche, assicurazioni, sgr e quant’altro. Come se il mattone non fosse un investimento.

E qui arriviamo a una categoria che esce martoriata dal suo libro: quella dei giornalisti economici di cui riporta un ampio florilegio di svarioni, omissioni e strane reticenze. Ci tolga una curiosità: quanto è stato difficile trovare un editore per un libro così duro e critico?
Il libro, in un modo o nell’altro, è stato rifiutato da 18 editori. 
Ci sono voluti anni per farlo arrivare in libreria, ma le lettere e le e-mail di tanti lettori (tra cui promotori finanziari e impiegati di banca in piena crisi di coscienza) mi convincono che ne è valsa la pena.