Milano Finanza 22-3-2003 inserto Promotori Finanziari, p. 5


Performance deludenti? Attenti a non fare il bis

«Un sistema parassitario dai costi infiniti: provvigioni su ingressi, uscite e switch, commissioni di gestione, di performance, spese aggiuntive sulle gpf. Insomma, le hanno pensate tutte per spremere i clienti come limoni». Come suo solito Beppe Scienza, docente di matematica finanziaria all'università di Torino, autore assai critico verso il risparmio gestito italiano, non ha avuto mano leggera di fronte alle performance in alcuni casi molto deludenti registrate dai fondi italiani negli ultimi tre anni e, per contro, le spese elevate che deve sostenere chi si affida alle loro cure.

In un'intervista pubblicata su Repubblica, per sostenere la sua tesi, a un certo punto chiama in causa l'indice Mediobanca global return, che tiene conto anche dei dividendi, e ne mette a confronto la performance negli ultimi sette anni con quella dei fondi specializzati in azioni italiane (che è poi la categoria in cui i gestori hanno dimostrato fin qui di saperci fare di più, trattandosi del mercato che conoscono meglio). Risultato: secondo Scienza, i fondi escono sconfitti con un 9,7% di incremento medio annuo contro l'11,6% dell'indice. «E senza considerare la commissione di ingresso dei fondi, mediamente più alta di quella delle azioni», aggiunge il professore.

I giudizi di Scienza sono da sempre molto duri contro i gestori, ma non si può negare che spesso colgano nel segno. L'incapacità quasi cronica dei fondi, nel loro insieme, di battere i mercati di riferimento è probabilmente anche l'effetto della cosiddetta benchmarkizzazione, ossia la tendenza abbracciata negli ultimi anni dalle società di gestione di imporre un indice da replicare quasi alla lettera. Con il risultato che, sottratte le spese, che sui fondi non sono poche, diventa matematicamente impossibile che il fondo riesca a superare la performance del suo modello. In Italia si è affermato un sistema di fondi di fatto indicizzati, senza però che i vantaggi del caso si siano trasferiti sui sottoscrittori. Ai quali infatti continuano a essere richieste commissioni tipiche dei fondi a gestione attiva, più cari per via delle alte competenze necessarie per sfidare il benchmark scegliendo i titoli, assumendosi responsabilità.

I promotori che ruolo hanno in questa vicenda? Praticamente nessuno. Come semplici intermediari, non possono che vendere i prodotti che le società mandanti affidano loro. Il rischio però è che il gioco regga solo finchè gli investitori non trovano alternative a prodotti così concepiti, poco efficienti e in compenso costosi (fino al 5% del patrimonio nel 2002, come ha calcolato Milano Finanza in un'inchiesta pubblicata l'8 marzo).

Oggi banche e reti hanno il mercato in mano, chi investe spesso non ha le competenze necessarie per muoversi da solo. Ma se la diga un giorno si rompesse? Già sta muovendo i primi passi anche in Italia un prodotto, l'etf, il cui compito è proprio quello di replicare l'indice, con costi annui ridotti a meno della metà rispetto a quelli di un fondo azionario. Ovviamente le sgr non lo stanno spingendo. Ma se diventasse prima o poi un arma di concorrenza, si riprodurrebbe la situazione che già si è vista nel campo dell'intermediazione azionaria quando si affermò il trading on-line, con il crollo delle commissioni (per chi opera via Internet) da 7 a meno del 2 per mille.

Il pericolo, insomma, è serio. Nel 2002 le sgr hanno avuto buon gioco nel trasformare i delusi sottoscrittori di fondi in tanti sottoscrittori di polizze vita, magari del tipo unit linked, cioè con rendimento legato a quello di alcuni fondi comuni. Ma a quanti di loro è stato spiegato questo aspetto? Non si sta giocando col fuoco? Di fronte a nuove delusioni, mantenere un buon rapporto con gli investitori sarà, per i promotori, ancora più complicato.

Lucio Sironi