Patrimoni n. 75, novembre 2005, pag. 30
Supplemento a Milano Finanza del 29-10-2005

Previdenza integrativa?
Grazie faccio da me.

intervista a Beppe Scienza di Lucio Sironi
Beppe Scienza, docente di metodi e modelli per la pianificazione economica all'Università di Torino, è diventato famoso per il libro «Il risparmio tradito» , che svela che svela costi nascosti e trucchi del risparmio gestito. Realizza corsi sull'investimento fai da te.

Non parlategli di polizze previdenziali. Così come un po' per tutti gli strumenti di risparmio gestito, il professor Beppe Scienza, docente di matematica all'Università di Torino, ha nei loro confronti ben poca simpatia. A differenza delle polizze stipulate per la copertura di rischi ben precisi, che considera utili per la tutela della famiglia, come quelli del caso morte, o di infortuni e malattia, quindi valide in particolare per imprenditori, professionisti e altri lavoratori autonomi, Scienza spara a zero sulle polizze concepite per fornire una pensione complementare ai lavoratori. «Più costi che benefici», taglia corto, «meglio accantonare un capitale per conto proprio, poco alla volta, secondo le proprie possibilità».

Domanda. Perché così pessimista in materia di previdenza integrativa?

Risposta. Perché nel lungo periodo, che è quello su cui deve ragionare chi si rivolge a questo genere di prodotti, i rischi sono fin troppi. Non mi riferisco solo all'andamento delle economie, ma anche a quello che potrebbe succedere a una compagnia di assicurazioni, a cominciare dal suo fallimento all'ipotesi della cattiva gestione dei premi degli assicurati, fino ai casi di vere e proprie ruberie.

D. Facciamo l'ipotesi ottimistica di economie moderatamente crescenti e di gestori capaci e onesti...

R. È lo strumento in sé che non mi convince. Non conosco prodotti di questo tipo che siano sufficientemente trasparenti e che non siano infarciti di costi per i clienti, al punto da perdere qualsiasi convenienza.

D. Però esiste una fiscalità favorevole, che consente la deducibilità dei contributi versati.

R. È solo fiscalità trasferita al momento in cui il fondo effettuerà le prestazioni. E quanto la tanto sbandierata insequestrabilità e impignorabilità del capitale versato, mi risulta che la protezione non sia così assoluta come le compagnie sostengono.

D. In realtà nel provvedimento sulla previdenza integrativa sono previsti incentivi fiscali ancora maggiori per chi resta nel fondo più a lungo.

R. Benissimo, ma preferisco ragionare sulle regole in vigore piuttosto che su altre, di cui non sappiamo se e quando saranno approvate.

D. I lavoratori dipendenti che aderiscono a un fondo pensione chiuso usufruiscono però di una quota, pari all'1% del reddito, versata al fondo dal loro datore di lavoro. Cosa che non avviene mantenendo il capitale sotto forma di trattamento di fine rapporto (tfr).

R. E' vero, ma non è determinante, perché nell'ambito del risparmio gestito in Italia si sono visti minus di gestione nell'ordine del 5% annuo per qualche lustro.

D.È innegabile tuttavia che qualcosa si debba fare. L'esigenza dei fondi pensione nasce dal dissesto del sistema previdenziale pubblico: un numero sempre più esiguo di lavoratori deve sostenere una massa crescente di pensionati sempre più longevi.

R. Non nego l'emergenza, a cui si risponde attraverso il risparmio. Ma la mia ricetta è quella del buon vecchio fai-da-te. E più in particolare sostengo che il primo obiettivo a cui deve mirare chi investe per accumulare e conservare un capitale nel lungo periodo, magari per quando non lavorerà più, è la protezione del potere d'acquisto. Perciò consiglio di acquistare titoli emessi da stati sicuri, il cui rendimento sia legato al tasso d'inflazione. In euro, per evitare il rischio valutario.

D. Esistono polizze che garantiscono il capitale e anche il consolidamento dei risultati ottenuti anno per anno.

R. Non garantiscono dal rischio di perdita del potere d'acquisto, che è cosa ben diversa dall'offrire un minimo garantito.

D. Secondo lei bisogna avere solo titoli pubblici a rendimento reale garantito. E se nel lungo periodo anche stati oggi di granitica stabilità fallissero, come ha detto che potrebbe succedere alle compagnie?

R. La garanzia in più che offre uno stato rispetto a una assicurazione è che il primo può emettere imposte per fare cassa, sistemare i conti e pagare i suoi debiti. E non è poco. In più c'è una garanzia di tipo politico: i governanti di uno stato minimamente democratico hanno più soggezione dei loro creditori dei vertici di una società privata, visto che coincidono in gran parte coi loro elettori.