Il deficit di gestione è piú
alto che nelle classifiche Mediobanca.
BEPPE SCIENZA*
*Dipartimento di matematica dell'Università di Torino
Non un atto di accusa, bensí una sentenza di condanna. La quindicesima
edizione dell'indagine dell'ufficio studi di Mediobanca non concede attenuanti.
Dalla lettura di Dati di 1172 Fondi e SICAV italiani (1984-2005) il risparmio
gestito esce di nuovo con le ossa rotte. Prendendo tre periodi particolarmente
significativi, il segno meno è una costante: da fine 1984 a fine
2005 i fondi comuni nel loro complesso hanno
reso -47,7% rispetto ai Bot, negli ultimi dieci anni -4,6% e
nell'ultimo lustro -15,8%.
In realtà la pubblicazione del centro ricerche diretto da Fulvio
Coltorti contiene una dovizia di dati interessanti, come quelli sulla
frenetica movimentazione dei portafogli dei clienti, sport dove i
gestori italiani sono forse campioni del mondo. Andando all'indirizzo
Internet www.mbres.it si può scaricarla e anche riceverla gratuitamente
per posta.
Evviva i Bot! Cardine del giudizio negativo sull'industria
del risparmio gestito è però proprio il confronto coi
piú comuni titoli del Tesoro. In parole povere il fatto che i fondi abbiano
reso meno dei Bot. Questo Mediobanca lo dimostra in maniera
inconfutabile, al di là di ogni onesto dubbio. Ciò è
importantissimo perché permette di smontare una delle tante frottole
della pubblicità del risparmio gestito. Ossia quella che fondi
comuni e simili avrebbero traghettato i risparmiatori italiani verso
forme d'investimento piú evolute.
La verità è che abbandonare i titoli di stato
è stata una scelta generalmente dannosa. Nell'arco di vent'anni
dieci milioni d'italiani sono stati indirizzati verso prodotti meno redditizi,
oltre che meno trasparenti e piú pericolosi.
Su questo non ci piove. Il punto semmai è un altro. È comunque
corretto il confronto dell'insieme dei fondi coi Bot? Mediobanca parte
dalla saggia considerazione che si ci debba aspettare un rendimento
maggiore quando si rinuncia a un investimento senza rischi (appunto i Bot).
Invece i fondi comuni, innegabilmente piú rischiosi, hanno reso meno.
Ma di per sé ciò permetterebbe solo di concludere
che non sono convenuti, non che sono stati gestiti male. Mica hanno
reso meno perché rivolti a mercati andati peggio? Ammettiamo
ad esempio che dopo i crolli del 2000-2001 un risparmiatore avesse
espressamente voluto investire in Piazza Affari, scegliendo un fondo
rivolto alle azioni italiane. Non è certo colpa del gestore, se
ha finito il 2002 pesantemente in rosso. Come faceva il poveretto a battere
il pur modesto 2,9% dei Bot con un mercato sceso del 19%?
Un'ottica diversa. Proviamo quindi a vedere le cose da un'altra angolazione.
Ossia a valutare l'operato dei gestori prendendoli in parola,
cioè sulla base delle loro politiche d'investimento ufficiali.
Lo abbiamo fatto per i mercati piú significativi per un investitore
italiano: il reddito fisso in lire e poi euro, la Borsa italiana, le azioni
europee o piú precisamente di Eurolandia, le azioni americane.
Abbiamo sviluppato confronti per periodi diversi, ovviamente tenendo conto
dell'imposizione fiscale, dei cambi e di vari altri aspetti alquanto
tecnici (per non tediare i lettori la metodologia seguita è esposta in
una pagina nel sito Internet del dell'Università di Torino all'indirizzo
www.beppescienza.it).
Conclusioni? Peggio che andar di notte. Il deficit dei fondi comuni
rispetto al fai-da-te risulta ancora maggiore. La tabella in basso riporta
gli incrementi complessivi negli ultimi dieci anni, un periodo che neppure
la corporazione del risparmio gestito osa definire troppo breve. Come si vede
i deficit di gestione sono enormi, andando da un -25% per il reddito fisso
a un -70% per le azioni italiane. Dal 1995 al 2005 senza gestione 100
milioni messi in Borsa sono mediamente diventati 370. Ma soltanto 300,
se affidati a quelli che pomposamente si chiamano money manager.
Se estendiamo il confronto a partire dal 1984, cioè dalla nascita
dei fondi comuni aperti di diritto italiano, le conclusioni sono
analoghe. Il risparmio gestito ha reso mediamente meno non solo
dei Bot, ma anche delle obbligazioni e dei titoli di stato, brevi
o lunghi, nonché delle azioni italiane, europee o
americane. Ciò non è frutto del caso: è
voluto. Ci troviamo infatti di fronte a un gioco a somma nulla:
alle perdite o ai minori guadagni dei clienti corrispondono maggiori
utili di venditori, gestori e intermediari vari. Ed è
sicuro che continuerà a essere cosí.
Il solo modo per sfuggirvi è riprendere il controllo dei
propri soldi, liquidando senza remore i fondi e soprattutto le ancora
meno trasparenti gestioni in fondi (Gpf).