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BEPPE SCIENZA* *Università di Torino
Da qualche tempo l’industria del risparmio ha individuato la causa di tutti i mali. Che non sarebbero i suoi costi, le sue inefficienze, le sue opacità ecc., bensì il particolare metodo di tassazione dei fondi comuni italiani. La normativa in vigore da metà 1998 prevede infatti che quotidianamente vengano conteggiati il guadagno o la perdita complessivi, nel primo caso con una tassazione e nel secondo con un credito d’imposta del 12,5%. Su tale normativa l’associazione di categoria dei gestori sta sollevando un polverone incredibile.
Fumus boni juris. A prima vista la critica parrebbe motivata. Assogestioni chiede che i fondi comuni di diritto italiano siano tassati come per es. le azioni, ciò solo al momento del disinvestimento sul guadagno o la perdita. Ciò sembrerebbe conveniente, perché ritardare un’imposta è in generale vantaggioso. Essendo però in ballo fatti economici, non basta quello che in diritto si chiama fumus boni juris, ovvero l’apparente fondatezza della richiesta. Bisogna valutare in soldoni come davvero stanno le cose (vedi tabella).
Uno sguardo al passato. Per cominciare abbiamo calcolato l’incidenza dell’attuale tanto vituperato sistema di tassazione dalla sua introduzione a metà 1998 sino a fine giugno scorso. Se una medicina fa male, in otto anni qualche danno dovrà ben procurarlo. Ragioniamo poi pure sull’ipotesi estrema e peggiorativa, cioè che nessun abbia mai cambiato fondo. Ma la performance annua media dei fondi comuni è stata dello 0,5%. Un paio di conti dimostra che il sistema di tassazione chiesto a gran voce avrebbe comportato quindi una riduzione d’imposta dello 0,001% l’anno. Cioè una miseria impercettibile. Quindi è falso che la tassazione sul maturato abbia nel complesso danneggiato i risparmiatori italiani. Semmai è vero il contrario. A chi ha perso è stato infatti immediatamente riconosciuto il credito d’imposta del 12,5%. È stato dunque avvantaggiato rispetto a chi aveva azioni, obbligazioni o fondi esteri, che s’è trovato invece con un credito d’imposta da utilizzare entro il quinto anno. Con la conseguenza che molti gli anni scorsi hanno visto sfumare gl’ingenti crediti per perdite del 2000 e 2001. E parecchi quest’anno rischiano di dover dire addio a quelli relativi a minusvalenze del 2002, anno ugualmente negativo per azioni estere e fondi comuni.
Un discorso per il futuro. Ma per gli anni a venire vogliamo essere ottimisti. Ammettiamo che i fondi non continuino a rendere quasi niente, ma invece fruttino per es. un 4% lordo l’anno. Ebbene, sull’arco di cinque anni il vantaggio della tassazione finale, ovvero al momento del disinvestimento, ammonterebbe allo 0,03% con l’attuale aliquota sulle rendite finanziarie e allo 0,05%, se l’imposta passa al 20%. Sono variazioni irrisorie e soprattutto molto inferiori ai minus di gestione procurati dai fondi italiani ai loro clienti. Essi vanno circa da un 1,5% per i fondi obbligazionari a un 5% annuo per molti fondi azionari. Con la cosiddetta tassazione sul realizzato tali minus passerebbe a –1,45% o rispettivamente –4,95%. Una meraviglia.
Fatti innegabili. Ovviamente Guido Cammarano di Assogestioni può ritenere enorme una differenza anche solo dello 0,03% annuo. Qui siamo nell’ambito dell’opinabile. Non è invece sostenibile che non sia equo il sistema introdotto da Vincenzo Visco. Semmai voleva essere troppo equo, con il complesso meccanismo dell’equalizzatore, poi soppresso. Così come è falso che la tassazione all’atto del disinvestimento “genererebbe importanti benefici fiscali per le casse dello Stato” e invece col passaggio a fondi di diritto estero “lo Stato perde un potenziale gettito fiscale”, come ha scritto il 28 settembre 2006 in una lettera aperta a Romani Prodi. In Italia i risparmiatori clienti di fondi esteri pagano e pagheranno comunque le imposte sui loro guadagni all’Erario italiano, che non ci rimette neanche una lira. Guido Cammarano dovrebbe piuttosto ringraziare Visco per l’attuale sistema di tassazione dei fondi. Esso ha infatti permesso ai gestori italiani di fare sfoggio di tutte le loro capacità. Vedi il caso di Ducato Geo Europa Alto Potenziale che dal marzo 2000 al marzo del 2003 è riuscito a perdere tanto quanto il 101,3% lordo delle somme avute in gestione. Senza il credito d’imposta tutte le attività in un fondo possono al massimo azzerarsi, ma nessuno riuscirebbe a perdere più del 100% dei soldi affidati dai risparmiatori.
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