LA PREVIDENZA INTEGRATIVA INDIVIDUALE

Quando ha un senso?

Privata e non pubblica, volontaria e non obbligatoria, aperta invece che chiusa: la previdenza integrativa individuale – il terzo pilastro del sistema pensionistico italiano - va ad integrare quello che la legge offre, quando non basta. Ma c’è di più.

La previdenza integrativa individuale si differenzia in modo sostanziale dalla pensione pubblica obbligatoria e anche dai fondi complementari (chiusi). La pensione obbligatoria prevede che i lavoratori versino mensilmente dei contributi ad un grande fondo statale al quale si attinge per pagare le pensioni alla generazione di chi oggi è anziano. Invece le pensioni complementari e la previdenza integrativa individuale si fondano sulla capitalizzazione individuale:

il capitale accumulato nel corso della propria vita lavorativa (pensione complementare) o risparmiato, aiuta il sostentamento durante la vecchiaia. Si tratta quindi di una riserva finanziaria in più. La previdenza integrativa individuale si differenzia dal fondo pensionistico complementare anche perché a quest’ultimo possono aderire solo i lavoratori per i quali sia stato stipulato il relativo contratto collettivo.

Il senso e lo scopo della previdenza integrativa individuale sono quelli di integrare le coperture della pensione pubblica obbligatoria. Qualora la pensione di vecchiaia non basti, il pensionato deve poter ricorrere al proprio patrimonio individuale. Questa forma previdenziale può assumere quindi forme tra loro molto diverse, dalle banconote “sotto il materasso” all’appartamento in proprietà, a diversi investimenti finanziari, al TFR e anche alla previdenza integrativa individuale. In passato lo Stato si è per lo più limitato ad organizzare la pensione pubblica obbligatoria e a creare almeno i presupposti giuridici e fiscali per le varie forme di capitalizzazione privata, che però solo in parte rispondevano a criteri previdenziali.

La previdenza integrativa individuale diventa tuttavia sempre di più l’ultima spiaggia per chi resta escluso – del tutto o in parte – dal sistema pensionistico pubblico (obbligatorio) perché magari ha studiato o fatto tirocinio a lungo, perché è un lavoratore autonomo o è come se lo fosse, perché esercita una libera professione o è un lavoratore parasubordinato, perché si è dedicato all’educazione dei figli, è stato malato o disoccupato. Se si guardano i numeri della previdenza privata si ha però l’impressione che non aderiscano alle forme previdenziali aziendali o individuali proprio quelli che ne avrebbero particolarmente bisogno. C’è ancora molto lavoro da fare: offrendo consulenza, informando e soprattutto intervenendo affinché il finanziamento della previdenza integrativa individuale sia adeguatamente promosso.

La cautela è d’obbligo!

La previdenza integrativa individuale non è una forma assicurativa ma un investimento finanziario. E su questo i malintesi sono tanti e profondi. Forse è l’uso di termini come “assicurazione sociale” o “assicurazione pensionistica”, che hanno contribuito a far credere - in modo del tutto errato – che la previdenza integrativa individuale abbia qualcosa a che fare con le assicurazioni, in primis con l’assicurazione sulla vita o l’assicurazione previdenziale. Ma non è così! Tali assicurazioni sono state e vengono vendute con falsi pretesti, infatti:

1. Spesso nelle diverse forme di assicurazioni sulla vita (di capitalizzazione) non risulta chiaramente quanto l’assicurato risparmi né a fronte di quale rendita. Le possibili manipolazioni sono tante. Ma una cosa è chiara: con una polizza di capitalizzazione e con le assicurazioni previdenziali accumulate – anno dopo anno – del denaro (risparmi) che riavrete dopo decenni, inflazionato, con una rendita spesso modesta.

2. Non è vero che esistono agevolazioni fiscali solo per le assicurazioni sulla vita o per quelle previdenziali. Anche tante altre forme di investimento finanziario sono soggette a tassazione ridotta (proventi derivanti da obbligazioni, azioni, casa di proprietà ecc.)

3. Non è neanche vero che le assicurazioni private previdenziali / sulla vita rappresentino il terzo pilastro accanto alla pensione pubblica obbligatoria (1) e alle pensioni complementari (2). Il terzo pilastro della previdenza è formato dai diversi investimenti finanziari come misura di previdenza individuale per la vecchiaia.

Il nostro consiglio:

Un appartamento in proprietà libero da debiti rappresenta una forma aggiuntiva di previdenza per la propria vecchiaia. L’affitto che non si dovrà più pagare andrà a corrispondere più o meno alla perdita di reddito che il pensionamento comporta rispetto al proprio livello di reddito precedente. Chi desideri dunque ridurre le proprie spese correnti durante la terza età deve acquistare per tempo una casa o un appartamento e organizzarne il finanziamento in modo che l’abitazione sia libera da debiti ed ipoteche al momento del ritiro dal lavoro. Non dover pagare l’affitto significa risparmiare ogni mese tra i 500 e i 1000 euro.

Una nota critica: c’è bisogno della previdenza integrativa individuale!

Gli esperti concordano sul fatto che i sistemi previdenziali previsti dalla legge non bastino più per un numero crescente di persone (v. pagina 19) a mantenere anche durante la vecchiaia lo stile di vita di cui godevano come lavoratori. Questo è dovuto anche al fatto che a poco a poco le previsioni allarmistiche fatte da più parti in relazione al futuro incerto del sistema pensionistico pubblico cominciano a produrre degli effetti. Sempre più economisti, politici, sindacalisti e rappresentanti dei media credono a queste tetre previsioni e agiscono secondo lo schema: pari contributi (32,7%) – meno erogazioni. Quasi a nessuno viene in mente che bisogna invece adeguare i contributi al valore aggiunto prodotto, prevedere meno eccezioni ed evasioni all’obbligo contributivo e soprattutto legare più strettamente le prestazioni ai contributi. Se ci si affretta ad adottare un comportamento dettato dagli allarmismi, questo equivale a far avverare la profezia – quanto di meglio possa capitare agli strateghi del mercato “globalizzato”. La realtà si adatta a ciò che la previsione vuole, e questo è preoccupante, soprattutto se si considerano le tendenze a lungo termine. Qualunque ne sia la causa, se si deve far fronte a una carenza previdenziale per la propria vecchiaia bisogna mettere da parte del denaro: per avere un reddito aggiuntivo di 500 euro al mese serve un capitale di circa 100.000 euro. E non bisogna dimenticare che aver finito di pagare la casa o l’appartamento di proprietà prima della pensione significa già di per sé avere un’entrata aggiuntiva di circa 700 euro (che corrisponde all’affitto che ci si risparmia di pagare). Questo non sarebbe necessario se vi fossero case in affitto a prezzi convenienti.

Articolo pubblicato su
konsuma – Guida alla previdenza privata
edita dal Centro Tutela Consumatori Utenti
Agosto 2005